La fortuna letteraria di Giovannino Guareschi è stata davvero straordinaria, con decine di milioni di libri venduti; grande successo hanno avuto e ancora hanno pure i film che si sono ispirati al mondo di don Camillo e Peppone descritto in quei racconti, al “Mondo piccolo” – come lo chiamò Guareschi. Altrettanta fortuna riscosse Ernst Friedrich “Fritz” Schumacher se è vero che uno dei suoi libri, Piccolo è bello, è ritenuto uno dei cento libri che hanno maggiormente influenzato il pensiero dell’uomo del Novecento.
Pur essendo vissuti nella stessa epoca, Guareschi era nato nel 1908 e Schumacher nel 1911, non ebbero modo di incontrarsi né di confrontare le rispettive idee. Entrambi comunque, pur su vie diverse, concepirono un modello simile di società, un mondo a misura d’uomo, un mondo – come entrambi lo hanno definito – “piccolo” e ben diverso dal modello di società come è stato plasmato dall’universalismo moderno e che successivamente appiattirà il mondo intero in un sistema globalizzato.
Fritz Schumacher raccontava di una sua visita a Leningrado, così si chiamava la città russa di San Pietroburgo durante il regime sovietico. Negli anni del comunismo, chi si recava in visita in Unione Sovietica doveva obbligatoriamente accettare di essere accompagnato da un “interprete” imposto dal Partito, un interprete che era, in realtà, un informatore della polizia politica.
Un giorno, spiegò Schumacher, «stavo consultando una mappa per capire dove mi trovavo, ma non ci riuscivo. Intorno a me potevo vedere diverse chiese enormi, ma nella mia mappa non c’era traccia di chiese. Alla fine un interprete venne ad aiutarmi e mi disse: “Nelle nostre mappe non indichiamo le chiese”. Contraddicendolo, puntai il dito su una chiesa che era segnata molto chiaramente. “Ah, ma questo è un museo” mi rispose, “non è quella che chiamiamo una ‘chiesa vivente’. Solo le ‘chiese viventi’ non sono mostrate sulle mappe”».
Se per l’uomo contemporaneo, concludeva Fritz Schumacher, è difficile trovare la strada della felicità è perché egli non è stato educato a riconoscere i segni che, all’interno della mappa della vita, possono indicare il luogo dove trovare ciò che maggiormente interessa l’uomo. «Durante tutti gli anni di scuola e università» diceva, «mi erano state fornite mappe di vita e conoscenza su cui difficilmente riuscivo a trovare traccia di cose che mi stavano a cuore, e che pure mi sembravano avere la più grande importanza per la condotta della mia vita».
È come se qualcuno, come succedeva nella Russia sovietica, avesse cancellato dalla mappa della vita le indicazioni delle “chiese viventi”, di quelle comunità vive nelle quali l’uomo può trovare piena accoglienza. Perché per la propria felicità è necessario, secondo Schumacher, che l’uomo viva in un ambiente accogliente, in un luogo dove possa sentirsi a casa.
Questo ambiente è per Guareschi il Mondo piccolo, un mondo dove può capitare che scoppino frequentemente risse tra opposte fazioni ma dove ogni uomo può sentirsi a casa propria. Dove può capitare cioè che, pur rischiando di prendere qualche legnata, ogni uomo può essere felice perché si trova a suo agio e sente di essere parte, protagonista della vita di una comunità “vivente”.
Fritz Schumacher è stato uno degli economisti più influenti del Novecento. Nato in Germania ma naturalizzato inglese, è stato uno stimato collaboratore di John Maynard Keynes, uno degli economisti che hanno posto le basi dell’economia mondiale del secondo dopoguerra. Fu proprio Keynes a volere Schumacher nella task force che elaborò i principali strumenti per la ripresa economica postbellica, come il cosiddetto “piano Keynes” che ispirerà gli accordi di Bretton Woods.
Il barone William Henry Beveridge è stato un accademico e parlamentare liberale inglese. Rettore della London School of Economics e rettore dell’University College di Oxford, è considerato “uno degli ultimi grandi vittoriani”; in altre parole, era un fiero reazionario. Nel ’42 il governo inglese gli affidò il compito di elaborare una riforma del welfare state che consentisse di affrontare la disastrosa situazione sociale provocata dalla guerra. Per realizzare il “Rapporto Beveridge”, il segretario di Beveridge si mise alla ricerca di un collaboratore che potesse efficacemente affiancare il luminare nell’arduo compito. Il segretario si consultò quindi con David Astor, potente editore di The Observer, che senza giri di parole rispose: “C’è un solo uomo: Schumacher”.
Il “Rapporto Beveridge” aveva l’ambizione di definire, per la prima volta, una serie di importanti riforme sociali – come si disse – “dalla culla alla tomba”; riforme del sistema sanitario nazionale, delle politiche salariali, del sostegno all’infanzia, delle misure contro la disoccupazione e tanto altro. Benché, come si è detto, fosse indubbiamente un reazionario e nonostante il suo partito fosse nettamente contrario, Beveridge volle condividere le idee “rivoluzionarie” sostenute dal giovane collaboratore Fritz Schumacher. In realtà, entrambi avevano accettato di mettere da parte le proprie idee, reazionarie o rivoluzionarie, per provare a liberare la società provata dalla guerra da ciò che definirono i “cinque giganti” che opprimevano la popolazione: la miseria, la malattia, l’ignoranza, l’afflizione, l’inattività.
Chiunque può riconoscere quanto grande è stata l’influenza di questo modello sulle politiche di welfare del dopoguerra nei paesi occidentali e, per esempio, oggi in Italia il sistema sanitario nazionale conserva ancora molti connotati del Rapporto Beveridge.
Perché il barone Beveridge, dall’alto della sua autorevolezza, abbia accettato di confrontarsi con le idee del suo collaboratore non si sa, forse per il forte temperamento di Fritz Schumacher, particolarmente ostinato nel far valere quello in cui credeva; Schumacher infatti non rinunciava facilmente a quello che poi in Piccolo è bello chiamerà “il principio di rivendicazione”.
Fritz Schumacher in quegli anni non era ancora un apprezzato economista. Tutt’altro. Con l’avvento di Hitler al potere, aveva scelto di riparare in Inghilterra nonostante fosse evidente che in questo paese non sarebbe stato accolto a braccia aperte. Essendo tedesco, infatti, sarebbe stato visto con molta diffidenza e tenuto alla larga dagli ambienti che contano. Durante la guerra, per un certo periodo, sarà perfino rinchiuso in campo di concentramento. Fu poi liberato, ma non riammesso pienamente nella vita sociale, per cui il povero Schumacher dovette adattarsi a fare i più umili lavori in una fattoria. Quando andarono a cercarlo perché “il mondo aveva bisogno di lui” non fu facile convincere il fattore a concedergli un periodo di ferie, tanto più pressante doveva sembrare a quest’uomo la necessità di badare alle mucche rispetto alle esigenze di pianificazione economica che in quel momento avevano i principali governi del mondo.
Schumacher non considerò mai gli anni del campo di concentramento e del lavoro in fattoria come tempo perso. Anzi, ricorderà che una delle sue più importanti intuizioni la ebbe nella solita operazione che doveva compiere ogni giorno, quella di contare il numero di mucche al pascolo, per verificare che non se ne fosse persa qualcuna. In quella circostanza, si rese conto che non era sufficiente conteggiare la quantità degli animali – il numero di mucche – perché un amministratore accorto deve anche essere consapevole della qualità di quello che amministra, nel caso concreto, dello stato di salute delle mucche. Comprese così che un imprenditore sbaglia a giudicare il successo o meno della sua azienda dall’entità dei risultati – il profitto – perché deve anche considerare quanto la sua azienda sia sana. Gli anni del campo di concentramento e del lavoro nei campi porteranno Schumacher a enunciare la sua celebre massima: “un briciolo di esperienza vale molto di più di una tonnellata di teorie”.
Come è simile tutto ciò a quello che dirà anche Giovannino Guareschi. Tanto che quelle di Schumacher e Guareschi sembrano vite parallele. Anche Guareschi, infatti, durante la Seconda guerra mondiale era finito in campo di concentramento e nemmeno lui considererà questo come un tempo perso. Scriverà: «Rimpiango io i due anni perduti dei Lager? Tutt’altro. Perché io non ho perso un solo minuto secondo di quei due anni. E se oggi sono quel poco che sono, lo devo proprio a quei due anni di Lager! E così io ripenso a essi con infinita nostalgia, come si pensa al melo fiorito della primavera».
Fu proprio dalla dura esperienza della guerra, del lager, delle tensioni dell’immediato dopoguerra che verranno fuori personaggi come don Camillo e Peppone, come tutto il Mondo piccolo. Anzi, fu quella “dura esperienza” a far guardare a quel mondo con la stessa dolcezza con cui si guarda “al melo fiorito della primavera”.
Terminata la guerra, su designazione di Hugh Gaitskell, ministro all’Economia nel governo inglese, Fritz Schumacher fu nominato consulente economico del National Coal Board, ente nazionale del carbone, all’epoca una delle maggiori organizzazioni commerciali d’Europa. In questa veste, ebbe modo di accedere alle più alte sfere della politica economica, non soltanto inglese. In questa veste ebbe però anche modo di interrogarsi su quanto sostenibili fossero i modelli economici occidentali.
In Occidente il benessere economico viene valutato a partire dalla “quantità” totale della produzione, il Prodotto Interno Lordo, e da quanto cresce – se cresce – questo PIL. Evidentemente, nessuna cosa può crescere all’infinito e dovrà arrivare pure un momento in cui questa crescita si arresterà. Cosa succederà in quel momento? Succederà che l’economia entrerà in recessione e che con questo sarà compromesso anche il benessere della popolazione? In un certo senso sì, succederà questo. Ma Schumacher volle andare a verificare anche cosa avveniva al di fuori di questo mondo, volle andare in Oriente.
Qui si accorse, in particolare tre le comunità buddiste, che indicatori economici come il PIL avevano scarsa considerazione. Al piccolo commerciante birmano interessava soltanto se alla fine della giornata potesse portare a casa quel poco che era necessario per soddisfare quei bisogni che nella propria famiglia si sarebbero presentati nella giornata successiva.
Nel piccolo mondo di queste comunità quel poco bastava per ritenere di vivere in una relativa condizione di benessere. Fu questa, per Schumacher, un’importante scoperta. E questo capitava proprio nel momento in cui cominciava a venir fuori un problema enorme, grande come un macigno, per le economie occidentali: la limitata disponibilità dei combustibili fossili. Questo cominciò a diventare evidente già negli anni Sessanta, ma nel decennio successivo il problema si pose in maniera veramente drammatica.
Era evidente a Fritz Schumacher a quali gravi conseguenze poteva portare la crisi di queste fonti di energia. Secondo la sua concezione, l’energia è, per il mondo della tecnica, quello che è la volontà personale per gli uomini. Se manca l’energia manca tutto. Senza la disponibilità certa di energia, per l’uomo contemporaneo sarebbe difficile, quasi impossibile compiere anche la più elementare delle azioni umane.
Fu tra i primi a prendere dunque coscienza della necessità di uno sviluppo sostenibile. E ad attribuire a questa necessità non soltanto un significato economico, ma anche etico. Schumacher non concepiva l’uomo come un malvagio sfruttatore delle risorse naturali, come fa un certo tipo di ambientalismo radicale. Egli riteneva che la funzione propria della natura è quella di provvedere ai bisogni delle specie viventi.
Ciò che sconvolge l’equilibrio ambientale non è la presenza dell’uomo in quanto tale, ma l’avidità di alcuni che non si limitano a prelevare dalla natura quanto è necessario per i propri bisogni, ma cercano di accumulare le risorse in maniera illimitata. Ciò porta a uno squilibrio economico con un’iniqua distribuzione delle ricchezze. Ma non soltanto a questo, non soltanto cioè a qualcosa che accresce i livelli di povertà. Paradossalmente, infatti, anche il ricco si impoverisce. Perché saltando il livello “carnale” dei suoi bisogni, l’uomo ricco vive in maniera alienata il rapporto con la realtà.
Senza che su questo, come si è detto, Guareschi e Schumacher si siano mai confrontati direttamente, lo scrittore italiano potrebbe spiegare brillantemente quanto sostenuto dall’economista. Nel racconto Miliardi e milioni, Guareschi presenta il paradosso della ricchezza che rende incapaci di un possesso vero. Il protagonista di questo racconto, un minatore che era riuscito a diventare ricchissimo uomo d’affari, scrive Guareschi, «possedeva una valanga di milioni, terre, ville, automobili, yacht, motoscafo, gioielli, una biblioteca ricca di preziosi volumi, una galleria di quadri famosi. Eppure non sapeva cosa fare. Delle sue tenute egli capiva solo l’estensione, dei gioielli il prezzo, dei suoi libri il formato».
Invece, prosegue Guareschi, nella «grande cassa dei poveri» l’uomo può trovare «il sole, la luna, le stelle, le pietre delle case piene di storie meravigliose, la vita che brulica sulla proda d’un fosso in primavera, la rugiada che brilla all’alba sulle foglie verdi, il cielo nel quale naviga la navicella della fantasia, i colori delle stagioni».
Morale: non rendiamoci la vita infelice rincorrendo il denaro, quegli improbabili milioni; piuttosto «nelle sere di primavera e d’estate mettiamoci alla finestra a guardare le stelle: sono miliardi, non milioni. E sono tutte nostre».
Cosa serve, dunque, per raggiungere quella vera ricchezza che deriva dal “guardare le stelle”? Fritz Schumacher, come anche Giovannino Guareschi, cercheranno una risposta a questa domanda nell’insegnamento della Chiesa cattolica. Al punto che questa ricerca porterà Schumacher a chiedere il battesimo. Nelle ultime pagine di Piccolo è bello Schumacher riflette sulla necessità di riscoprire le quattro virtù cardinali fissate dal catechismo cattolico. Virtù che il mondo moderno ha purtroppo smarrito ma che egli addirittura ritiene “tutte indispensabili per la sopravvivenza della civiltà”. Virtù, per esempio, come la temperanza, “che significa capire quando dire basta”.
“Capire quando dire basta”, capire quando l’uomo non può andare oltre. Perché è proprio quando l’uomo, a un certo punto, capisce che non può andare oltre che si accorge che c’è veramente un oltre, che ci sono le stelle. Schumacher era giunto alla conclusione che il singolo uomo, soltanto con le sue forze, non può fare molto per migliorare le generali condizioni di vita dell’umanità. Ma potrebbe fare comunque qualcosa, nel suo piccolo mondo.
Come disse: «Non so suscitare da me stesso i venti che potrebbero sospingere noi, o la nostra nave, verso un mondo migliore. Ma posso issare la vela, cosicché quando il vento si alzerà, questo sospingerà tutti noi».
eccellente articolo. Un aiuto a scoprire Schumacher che non conoscevo affatto, il suo pensiero, le sue teorie economiche. In particolare il suo giudizio sull’avidità del ricco a cui si aggiunge e si sovrappone l’avidità degli stati (Cina,Usa,Russia India Germania Francia GB).E quindi interessante la riproposizione delle virtù cardinali alla base delle teorie economiche e sociali.